Disturbi d’Ansia: Il Disturbo da Attacchi di Panico

Il Disturbo da Attacchi di Panico (DAP) è tra i più frequenti dello spettro ansioso ed è descrivibile come una condizione caratterizzata da stati d’ansia acuta inaspettati e ricorrenti e da una persistente preoccupazione di avere altre crisi.

Nel DAP l’attenzione del soggetto è quasi esclusivamente sulle sensazioni fisiche e mentali attivate in quel preciso momento dall’ansia e la paura riguarda l’eventualità di morire, di impazzire o di perdere il controllo.

Che cosa si prova durante un attacco di panico?

I sintomi dell’attacco di panico

In particolare, i sintomi fisici (di intensità e frequenza variabile) possono essere:

  • tachicardia
  • brividi di freddo o vampate di calore
  • sensazione di soffocamento
  • dolore o fastidio al petto
  • nausea o disturbi addominali (diarrea)
  • sensazione di testa leggera, di svenimento
  • sensazioni di torpore o di formicolii vari

Mentre i tipici sintomi psicologici sono:

  • paura
  • terrore
  • sensazione di morte imminente
  • timore di perdere il controllo di sé

Disturbo attacchi di panico - Psicologa Psicoterapeuta BolognaDurante un attacco di panico la persona si spiega le sensazioni fisiche e mentali che sta sperimentando come segnali evidenti di un’imminente e improvvisa catastrofe (“sto per morire o impazzire..”).

Spesso all’attacco di panico si accompagnano sensazioni di estraneità, di assenza, come se non si sapesse più chi si è.

Questa sensazione ha una coerenza se pensiamo che la persona che sta vivendo una crisi d’ansia ha la percezione di essere letteralmente investita da emozioni e disagi fisici, come fossero eventi esterni a sé, a cui non riesce a dare un significato personale, (“non so perchè mi sono sentito così male, fino a quel momento mi sentivo benissimo..”).

L’evoluzione più comune di questo disturbo (circa il 70%) è rappresentata dall’instaurarsi di condotte di evitamento agorafobiche (per evitare di trovarsi nelle condizioni che sono fonte di disagio). In questo caso il DAP può definirsi associato ad agorafobia. Alcuni pazienti presentano una storia di attacchi di panico molto sporadici, ma anche in questo caso sono spesso seguiti da condotte di evitamento gravi e invalidanti che si protraggono per molti anni, anche in assenza di altre crisi acute.

VUOI APPROFONDIRE? Leggi anche l’articolo “Ansia e Disturbi d’Ansia

Agorafobia - Psicologa Psicoterapeuta BolognaAgorafobia

Si parla di agorafobia quando le limitazioni imposte dall’evitamento interferiscono con attività importanti della vita di tutti i giorni.

I pazienti agorafobici evitano luoghi affollati, strade a scorrimento veloce, mezzi di trasporto come macchine, metropolitane, e molte altre situazioni nelle quali può risultare difficile scappare o trovare aiuto nel caso di un attacco di panico o di sintomi tipici d’ansia (per esempio la paura di svenire o di avere un attacco di diarrea).

Tipicamente l’agorafobia assume un andamento cronico creando notevoli limitazioni all’autonomia personale cosa che risulta inaccettabile per chi si trova nel giro di pochissimo tempo impossibilitato ad andare al supermercato da solo o a salire sulla propria auto per andare al lavoro senza sentirsi male.

Il primo attacco di panico è un’esperienza emotivamente molto dolorosa e sconvolgente, tanto che spesso si ricorre al pronto soccorso a causa dell’intensità delle sensazioni fisiche provate. Ma vale forse la pensa sottolineare che l’attacco di panico non comporta rischi per la salute dell’organismo nè può portare alla morte o alla follia.

Come funziona un attacco di panico? E perché si ripresenta?

Agorafobia - Psicologa Psicoterapeuta BolognaSe ciò di cui si sta facendo esperienza in quel momento, che può essere un evento esterno (per es: code nel traffico, luoghi chiusi..) o interno (per es: tachicardia, nausea..), viene percepito come una minaccia incombente produrrà uno stato emotivo di forte preoccupazione, e se la persona è portata ad attribuire un significato catastrofico a tutto ciò che fisiologicamente accompagna uno stato emotivo di preoccupazione, si preoccuperà della propria preoccupazione, contribuendo ad aumentare l’intensità delle sensazioni temute fino ad innescare un vero e proprio circolo vizioso culminante in un attacco di panico.

Una reazione molto frequente di fronte a queste sensazioni esperite, è quella di cercare con tutte le forze di sbarazzarsene, di farle passare, nel tentativo di ripristinare una sorta di equilibrio, e riprendere il “controllo” di se stessi e della situazione.

I pazienti di fronte alla possibilità di affrontare situazioni temute provano ansia anticipatoria, che come è noto, facilita l’insorgenza del panico. Le sensazioni e le situazioni temute sono determinate soggettivamente dal modo specifico con cui la persona pensa di poter perdere il controllo. Per esempio se è per svenimento la persona svilupperà nel tempo un sistema di allerta per tutte quelle sensazioni e situazioni che potrebbero, a parer suo, causarlo.

Più si è presi dalla volontà di controllare, eliminando e rifuggendo da questo stato d’animo (perturbante), più si sperimenta la sensazione di non avere il minimo controllo su quello che sta succedendo. E questo non fa che confermare l’anticipazione che qualcosa di spaventoso stia per accadere e che non si avrà la capacità e/o la “forza” per evitarlo.

Il tema del controllo/perdita di controllo

Disturbo attacchi di panico - Psicologa Psicoterapeuta BolognaLa paura di perdere il controllo è la caratteristica comune di tutti i disturbi d’ansia ed è di fondamentale importanza per capire i processi che stanno alla base e alimentano l’attacco di panico.

La perdita del controllo è percepita come una sorta di dissolvimento del senso di sé, come perdita della coscienza di sé e della percezione di sé come persona agente (timori di morte o di impazzimento) (Gragnani e Mancini 2004, 2008).

Questi pazienti sono spaventati dall’eventualità di agire senza consapevolezza ed è proprio questo aspetto che viene temuto del diventare pazzo: l’impossibilità di gestire se stessi, l’improvviso azzeramento della propria autonomia decisionale. Dato questo timore, il paziente cerca di essere sempre presente a se stesso ovvero tenta di avere sempre ben chiare e rappresentate tutte le cose che possano dimostrare e dimostrargli che è lui ad agire, ad avere il controllo.

Un precario equilibrio: tra libertà e costrizione

L’organizzazione cognitiva delle persone con questo tipo di disturbo si costruisce intorno ad un grande conflitto tra due dimensioni antagoniste:

  • costrizione/protezione
  • libertà/solitudine     

L’elemento comune è la tendenza a rispondere con ansia e paura a qualsiasi oscillazione dell’equilibrio affettivo che venga percepito come perdita di protezione e/o libertà.

Un modo per raggiungere un certo equilibrio tra queste dimensioni è tentare di mantenere un controllo sulle proprie emozioni e sulle relazioni significative. Le oscillazioni emotive rappresentano una minaccia potenziale alla propria stabilità, al proprio senso di sé.

Generalmente per chi soffre d’ansia anche solo provare emozioni è spaventoso.

E così nel corso dello sviluppo quegli aspetti di sè (come le emozioni) che avrebbero potuto minacciare in qualche modo, dal proprio punto di vista, la stabilità della relazione hanno perso spessore, consistenza, fino ad arrivare ad essere percepiti come estranei e perturbanti e per quanto ancora presenti rimangono ai margini della propria esperienza, influendo però significativamente sulla sofferenza psicologica.

Il Panico

La Paura di morire, di impazzire, di perdere il controllo

Disturbo attacchi di panico - Psicologa Psicoterapeuta BolognaIl terrore è quello di fare uscire allo scoperto una emotività di cui non si sa molto se non che porterebbe alla follia, alla perdita di sé e molto probabilmente alla perdita delle relazioni significative.

E’ quindi assolutamente necessario allontanarla il più possibile dalla propria esperienza. Ed è significativo in questo senso che durante un attacco di panico la paura più grande sia quella di impazzire o di morire.

 

I messaggi emotivi che indicano bisogno di protezione, di sicurezza rischiano di minacciare un’idea di sé di persona libera, autonoma, competente.

Mentre i messaggi emotivi che indicherebbero bisogno di libertà, di indipendenza rischierebbero di minacciare un’idea di sé di persona fragile e bisognosa di protezione.

E’ in gioco la propria autostima, minacciata di continuo dalle proprie emozioni.

La “giusta distanza”

Si viene quindi a creare un modo di stare in relazione caratterizzato dalla ricerca di una distanza di sicurezza ottimale verso le persone significative, tale per cui non siano mai troppo vicine e coinvolte (paura di perdere libertà) né troppo lontane e inavvicinabili (paura di perdere protezione). Per mantenere un equilibrio personale, che è dato dal potersi riconoscere e rispecchiare negli altri, questi pazienti hanno bisogno in un certo modo di avere la percezione di dirigere e controllare le relazioni significative.

Il fatto di ritenere la libertà in contrasto con il bisogno di protezione e sicurezza, limita la possibilità stessa di stare in relazione in modo autentico cioè giocando tutte le parti di sé. La componente dell’emotività (sia per quanto riguarda il bisogno di protezione che il bisogno di sentirsi liberi) deve essere contenuta, controllata, congelata per evitare il rischio di perdere le relazioni, o di perdere un senso di sé che per quanto rigido e poco articolato permette di riconoscersi e raggiungere i propri obiettivi. Se ciò avvenisse, se cioè questi pazienti si lasciassero andare alle proprie emozioni, si sentirebbero minacciati dalla possibilità di perdere una coesione del sé, un senso di sé definito come persone autonome e di valore.

Trattamento degli Attacchi di Panico

I trattamenti per la cura del disturbo di panico attualmente ritenuti dalla comunità scientifica come più efficaci sono la psicoterapia e la terapia farmacologica se risulta necessaria.

Lo psicoterapeuta cognitivo-costruttivista di fronte a un problema di attacchi di panico si pone come obiettivo di accompagnare la persona nel riscoprire e riappropriarsi di quelle parti di sé che giacciono al di fuori della propria esperienza consapevole perché ritenute “perturbanti” e minacciose ma che non riconosciute determinano e mantengono la sofferenza psicologica.

La prima parte del lavoro terapeutico sarà incentrata sulla riformulazione del problema presentato dal paziente in termini di significati personali e non più come un sintomo oggettivo a sé estraneo. Si cercherà di sostenere il paziente nell’esplorazione e nell’elaborazione dei vissuti emotivi collegati all’evento “attacco di panico” cercando di evidenziare quali sono i temi ricorrenti nei diversi momenti di sofferenza percepita. La riformulazione del problema in termini emotivi e la conseguente diminuzione della sintomatologia ansiosa spesso conclude la richiesta di psicoterapia. A volte però il paziente esprime la motivazione e l’interesse a proseguire la terapia per approfondire alcune tematiche emerse nel lavoro precedente.

 

BIBLIOGRAFIA

Tonino Cantelmi, Maria Beatrice Toro, Michela Pensavalli (2011) “La psicoterapia cognitivo interpersonale nel Disturbo di Panico“, Modelli per la mente; IV (I): 31-41

Andrea Gragnani, Giulia Paradisi, Francesco Mancini (2011) “Un modello cognitivo del Disturbo di Panico e dell’Agorafobia. Aspetti psicopatologici e trattamento” Psicobiettivo, XXXI, 3-2011